Il territorio di Accettura è ricco di monumenti che ne testimoniano l’antichità. Diverse famiglie l’hanno posseduta, molti sono gli avvenimenti storici avvenuti sul nostro territorio.
Cenni di storiadi Angelo Labbate
In località Tempa Cortaglia sono visibili i resti di una cinta muraria lunga circa 800 metri.
Altri imponenti avanzi di mura risalenti ai V / VI secolo a.C. si ammirano nella foresta di Croccia-Cognato. A sud del centro abitato, a Costa di Raja, si notano i resti di un agglomerato urbano, denominato Raja. Sia, dunque, gli avanzi di Costa di raja che le cinte murarie di Tempa Cortaglia e Croccia-Cognato inducono a pensare che il territorio di Accettura fosse anticamente popolato. Il viaggiatore napoletano Cesare Malpica, in Basilicata-Impressioni, riferisce che “. . . intorno all’antichità di Accettura disputarono Cluverio, Wesselingio ed Olstenio per sapere se fosse l’antica Acidios dell’itinerario di Antonino, ovvero l’Aciri o l’Acri”. Giacomo Racioppi ritiene che la fondazione di Accettura debba collocarsi tra il VI ed il X secolo. Acceptor, sparviero nel basso latino, è il tema della denominazione Accettura.
I luoghi che prendono nome dagli animali utilizzati nell’attività venatoria del “signore” sono frequenti, argomenta Racioppi. Le origini di Acceptora, ossia zona ricca di sparvieri, sarebbero simili a quelle di Lupara (CB), Cervicara (AV), Orsara (FG), Falconara (AN, CS, ME). Acceptora è un’altra probabile forma originaria della parola. In questo caso indicherebbe una località in cui si custodiscono e si educano gli sparvieri. Lo stesso Racioppi avanza un’altra ipotesi intorno al significato di Accettura. Nella terminologia degli scrittori agrari latini, sostiene l’erudito Basilicatese, le acceptae erano quote di terra assegnate ai coloni ed ai soldati. L’insieme di appezzamenti da ssegnare era probabilmente detto acceptura. In molti casi il suffisso ura conferisce particolari significati alla parola cui si aggiunge. In questo caso acceptura equivarrebbe ad un insieme di terre da ripartire in quote. Sempre Racioppi, opina che Accettura potrebbe derivare dall’aggettivo greco “spinoso”. E’ un’ipotesi confortata da toponomie identiche, come Spinoso (PZ) e la località Spineta in agro di Accettura.
Il 1060 Accettura già esisteva, perché in una bolla di quell’anno in favore del Vescovo di Tricarico, Arnaldo, è denominata Achitorem. In una bolla del 1183 al vescovo Roberto sono confermati chiese e paesi della giurisdizione diocesale di Tricarico, tra cui Accettura, detta Lacertorium. Intorno al 1150 Accettura è un feudo importante. Nel catalogo dei baroni, compilato tra il 1115 ed il 1168 si legge che “. . . Guaimario di Capaccio possiede il suddetto casale di Accettura, che come dichiarato da Ruggero Budone è un feudo obbligato al sostentamento di un soldato e mezzo, e con l’aggiornamento a due” (Guaimarius CapuaciJ tenet de prodicto comite Acceptorem, quod sicut dixit Rogerius Budonus est feudum i militis ed dimidij et cum augmento optuilt militis II). Accettura apprteneva alla contea di Montescaglioso e Guaimario di Capaccio ne era il suffeudatario.
Dopo il 1160 Accettura venne il possesso della famiglia Bazzano, che perse il feudo con l’assunzione al trono di Manfredi.
Americida Bazzano fu reintegrata nel possesso dei “castrum Tricarici et casale Accepture” da Carlo D’angiò. Successicamente il casale di Accettura passò nei possedimenti di Bernardo di Sangiorgio, barone di Deliceto e Rodi. Carlo III° lo Zoppo, in seguito, assegnò Accettura e Rodi a Giovanni Pipino di Barletta.
Angela Pipino, sposa di Nicolò della Marra e sorella di Giovanni, ebbe in dote Accettura. Per la sterilità di Angela Pipino ed in seguito alla morte di Nicolò della Marra, il casale divenne possesso della regina Margherita, che l’assegnò a Beatrice di Ponsiaco. Eligio della Marra, nipote di Nicolò, mosse lite alla corte regia e fu reintegrato nella proprietà. L’anno 1517, morto Eligio, Accettura fu concessa in dote a Isabella della Marra, sposa di Luigi Carafa. Per eredità il casale entrò nell’asse patrimoniale del Carafa, propriamente di Anna, moglie di don Ramiro de Guzman, vicerè di Napoli. Morto quest’ultimo senza eredi, il feudo fu assegnato dalla corte regia a Giacomo Colonna, marito di Vittoria Barile. Il 1696 Accettura apparteneva a Giuseppe Colonna Barile, il 1740 a Filippo Colonna ed il 1761 a Giustiniana Colonna, imparentata con la famiglia Ruffo. Morta Giustiniana, il 1779 Accettura diventò feudo di Giuseppe Ruffo.
Non avendo quest’ultimo eredi, Accettura pervenne alla famiglia Spinelli, tramite Silvia Barile, sposa di Tommaso Spinelli, marchese di Fuscaldo, duca di Calvano ed ultimo feudatario di Accettura.
di Angelo Labbate
L’anno milleottocentosessantadue il giorno 21 ottobre in Accettura. Convocata la Giunta municipale, si è radunata nelle persone del Sig. Pasquale Amodio Sindaco e degli assessori Francescantonio Tortorelli, Luigi Marone, Luigi Giliberti, Giuseppe Campanelli.
La medesima ha avuto comunicazione dal suo presidente di un’onorevolissima lettera del Sig. Prefetto della Provincia colla data degli 11 Agosto u.s. in cui quell’ Egregio Superiore ci esprime la sua più alta soddisfazione a questa nostra Guardia Nazionale per la valorosa condotta da essa tenuta nel fatto del sette Agosto scorso nel bosco di Montepiano, ed in pari tempo invita il Sindaco a far deliberare alla Giunta Municipale in conformità dell’art. 5° del Decreto dei 30 Aprile 1861 su quei militi che maggiormente si distinsero in tale azione, onde a norma della Legge siano adeguamente premiati.
La Giunta , tenuta presente la norma consacrata nella circolare dei 23 Aprile n°73, constata che nel giorno sette del prossimo passato Agosto un’audace masnada di briganti di sessantacinque individui, capitanata dai noti Cavalcante, Abriola e Rossi, dopo aver nel giorno innanzi sfidata con provocazione di ogni sorte questa Guardia nazionale, si rintanava nella più folta ed estranea parte del bosco Montepiano di Pietrapertosa a sei miglia di distanza dal nostro abitato.
Un distaccamento di Guardia Nazionale e di volontari di circa 76 individui, fra i quali sei inermi, parte a piedi parte a cavallo, muoveva nottetempo verso quel bosco nella speranza di incontrarli. Difatti avuta la certezza del numero e della posizione dei briganti da persone dimoranti nel luogo, con unanime slancio, ufficiali e militi decidevano di andare all’attacco della masnada, comunque difesa da foltissima macchia e da grossi alberi. Appena si scoprivano fra i cespugli i primi gruppi di briganti, al Grido di Viva Italia, Viva Savoia, si cominciò la fucilata, la quale bentosto divenne generale.
I briganti incoraggiati dai loro audacissimi capi risposero per un’ora e mezza al fuoco delle Guardie, ma poi incalzati da presso dai nostri militi, e vedendo stesi al suolo molti loro compagni, alcuni dei quali uccisi in combattimento di corpo a corpo, si ritirarono per l’unica via che non si era potuto lor precludere dalle forze Nazionali rifugiandosi su di alture inaccessibili a due miglia di distanza. Quindici cadaveri fra i quali il capo feroce Rossi restarono sul teatro del combattimento- uno ferito dei nostri -molti fucili, pistole, munizioni, il cavallo di Cavalcante, un mulo un tamburo la bandiera borbonica furono il trofeo della vittoria. Questo fatto produsse una impressione vivissima nel nostro e nei paesi vicini, dei quali rialzò lo spirito pubblico abbattuto dalle atrocità e dall’audacia impunita fin allora di quei masnadieri. Ciò attestano specialmente i due indirizzi mandati a questa Guardia Nazionale dai cittadini di S. Mauro e di Stigliano e lo scoramento indotto negli avanzi di quell’orda fu tale che più non si son visti o sol per pochi momenti nel nostro tenimento. In questo scontro ufficiali militi e volontari –tra quali un prete due monaci e dei ragazzi imberbi- si comportarono degnamente. Perciò tutti son degni di encomio. Fra essi la Giunta Municipale decide raccomandare alla confidenza del Governo il Sergente Furiere della 1^ compagnia, il quale abbenché ferito da una palla conica che gli trapassava la gamba sinistra continuava al fianco dei suoi commilitoni con imperturbabile sangue freddo a sostenere il fuoco sino alla fine del combattimento. Egli si chiama Francesco Labbate di Vito di questo comune di anni trenta di condizione bottegaio. E’ guarito dopo un mese e mezzo di cure, ma resta alquanto zoppicante. Del che si è redatto il presente processo verbale, che dopo letto ed approvato si è sottoscritto dalla Giunta.